Quanto è facile da piccoli, immaginarsi l’impossibile?
E’ facile perché impossibile è un attributo che viene assegnato solo più tardi ai nostri sogni di bambini. Solo col tempo la maggior parte di noi impara che fare la ballerina, l’astronauta o il pirata sono sogni grandi ma più concretamente, solo sogni.
Ma quanto era bello pensare di poter fare qualsiasi cosa, quando ancora nessun limite pratico poteva sfiorare il pensiero astratto.
Poi siamo cresciuti e abbiamo iniziato a pensare che fare la ballerina forse non ci avrebbe dato da mangiare, che per fare l’astronauta avremmo dovuto dedicare tutto il nostro tempo libero allo studio, e che per essere un pirata occorre prima possedere una barca a vela. E abbiamo sbattuto la testa contro la realtà. 🧠
Una volta archiviati i sogni di bambini però rimane una questione.
Cosa voglio fare da grande?
Quando ho scelto di fare il liceo ho pensato che fosse la strada che mi avrebbe aperto più possibilità, proprio perché non avevo nulla di specifico da inseguire. Sapevo (non saprei dire perché) che avrei continuato a studiare, a fare la fantomatica Università, ma non avevo idea di quale strada avrei intrapreso.
Al liceo scientifico eccellevo in latino. Ma cosa se ne fa una persona del latino nella vita da adulto? L’unico vantaggio che porto con me è quello di poter dire che “al liceo traducevo le versioni in simultanea”; frase che utilizzo all’incirca una volta ogni due anni quando mi si presenta l’occasione.
Non ero brava in fisica, me la cavavo in matematica, non mi piaceva biologia, mi hanno fatto odiare la filosofia e non studiavo per niente la letteratura inglese.
Guess what?! Ho scelto Economia all’università. 😏
Non mi interessavano gli esami su bilanci e finanza, ma mi appassionavano quelli sul comportamento del consumatore, la funzione della pubblicità, il marketing non convenzionale e tutto ciò che di più creativo si potesse studiare.
In quegli anni forse ho disegnato le prime linee del tracciato che man mano immaginavo per la mia carriera. Era come avere un’intera spiaggia a disposizione, e io avevo iniziato a posizionare il mio ombrellone.
Ho proseguito con la magistrale perché two lauree is meglio che one, e sono approdata a Milano nel mondo del business che non dorme mai.
Le opportunità che mi si sono presentate mi hanno portato al largo, lontana dalla spiaggia in cui avevo piantato il mio desiderio. Non è colpa di nessuno, le ho accettate io, una dopo l’altra. Mi sono sempre fatta scegliere, spesso fatta trainare dalle promesse di crescita, talvolta dal denaro. Mentre navigavo a vista vedevo il mio ombrellone azzurro (è così che mi piace immaginarlo) allontanarsi da me. Certo facevo una vita piuttosto comoda, a bordo di barche a vela che mi portavano in mezzo al mare, ma era una vita lontana dall’ombrellone che avevo solo iniziato a fissare nella sabbia. 🏖️
Dal momento in cui ho lasciato la baia sono successe infinite cose, ho fatto almeno 8 traslochi, incontrato centinaia di persone e ammirato migliaia di paesaggi. Ho fatto scelte importanti per la mia vita, decidendo dove vivere, a cosa dedicare le mie energie, a chi stare vicino. Ma non posso essere ipocrita con me stessa, non ho ancora deciso cosa voglio fare da grande. E soprattutto, non mi sono ancora riavvicinata alla spiaggia.
Impossibile non formulare il seguente pensiero: decidere cosa fare da grandi è forse il percorso stesso del diventare grandi? 🤯
Un giorno ti guardi allo specchio e sei già grande, sono comparse le prime rughe sul viso e tu stai ancora frequentando corsi online per ottenere la venticinquesima certificazione da inserire nel curriculum. I tuoi amici fanno figli e comprano pannolini e tu acquisti libri sull’Ikigai per trovare la tua strada seguendo consigli giapponesi.
Ho cambiato 4 lavori in 10 anni di carriera (sì, sono tanti) e sto per approdare al quinto.
Quinta azienda, quinto team di colleghi, quinto ricominciare.
Nonostante io sia davvero convinta (per la prima volta) della mia scelta – che finalmente è una mia scelta – non posso fare a meno di chiedermi se esiste qualcosa di meglio, che sia più appropriato per me. Con la consapevolezza che non posso cambiare lavoro con la frequenza con cui cambio pigiama, devo decidere ora dove voglio andare.
Posso stilare tutte le liste del mondo, abbozzare i pro e i contro, pensare alle condizioni economiche e valutare sempre qualsiasi benefit…
ma come si prendono queste decisioni? 😵💫
Ci ho messo 32 anni a capire (più o meno) in che ambito volevo lavorare, unendo i miei desideri con il percorso formativo e professionale che mi porto nello zaino – che volente o nolente mi ha portato verso altri lidi.
Ora che mi avvicino al lavoro che sento cucito per me, non riesco a non domandarmi se esista un percorso ancora diverso represso inconsciamente dentro la mia bizzarra personalità. Realizzo comunque che, essendo eventualmente inconscio, al momento non riesco ad individuarlo. Quindi, let’s go.
Ammetto a me stessa che le mie priorità negli ultimi anni sono cambiate. Ho spostato il focus dalla carriera e dalla crescita professionale ad un benessere psico-fisico che per me comporta una buona dose di sport, cucina, affetti e famiglia.
Apprezzo molto di più il tempo libero, eppure sento comunque il bisogno di sentirmi realizzata come professionista. Dove sta la sottile linea di confine? E poi…
Quanto influisce lo smart working nelle nostre attuali scelte? Quanto influisce il bisogno di sentirsi parte di un team? Quanto influisce il tipo di attività che si svolge durante la giornata? Quanto pesano le conoscenze che si possono assimilare? Quanto influisce il margine di crescita che vediamo davanti a noi? Quali sono i driver di una scelta che non vuole essere economica?
E a questo punto, quanto cambiano le domande che ci facciamo nel giro di vent’anni?
Cambia tutto, ma noi no. Focus sull’ombrellone, andiamo a prenderlo.
Io comunque volevo solo fare quella che inventa la pubblicità della Coca Cola. 🥤